"LUNE D'INVERNO"   POESIE E RACCONTI BREVI

 

 

"Non penso che il trionfo dei nuovi mezzi tecnici sia senza importanza in un mondo che tende ad un nuovo umanesimo positivo e scientifico, ma ritengo che anche domani le voci più importanti saranno quelle degli artisti che faranno sentire attraverso la loro voce un'eco del fatale isolamento di ognuno di noi. In questo senso, solo gli isolati parlano, solo gli isolati comunicano; gli altri, gli uomini delle comunicazioni di massa, ripetono,
fanno eco, volgarizzano le parole dei poeti, che oggi non sono parole di fede ma potranno forse tornare ad esserlo un giorno"
(
Eugenio Montale)

 

 

 

 

LUNE D'INVERNO
(poesie giovanili 1982-91)

PREFAZIONE DI
MARIA LUISA SPAZIANI


A un mistico spagnolo che era nel mirino di Torquemada fu rivolta una domanda imbarazzante: Pensi tu che Dio, nella sua saggezza infinita, possa aver commesso anche soltanto uno sbaglio nella creazione del mondo? La risposta negativa avrebbe urtato contro l'evidenza della storia, catena infinita di sciagure. Ma ancora più pericoloso sarebbe stato rispondere "sì".
Il mistico disse che un errore c'era stato: permettere che si muoia a età molto diverse, vedere vecchi che raggiungono la tarda vecchiaia e giovani che scompaiono nel fiore degli anni, quando ogni strada è spalancata sull'avvenire. Aggiunse però subito una considerazione che lo salvò. Disse, sulla base di dotte affermazioni di santi e di spiriti illuminati, che la vita è come un elastico, che rimane lo stesso, teso o rilasciato che sia, e che a qualsiasi età si muoia noi abbiamo già ricevuto il massimo della grazia e delle opportunità che il Cielo ci aveva destinate. La qualità conta, non la quantità: la quantità è soltanto visibile per chi resta, per chi non può entrare negli alti disegni del Creatore.
Ho perso nel corso della mia già lunga vita tanti amici, troppi, per guerra, per malattie, anche per suicidio. Perché se ne sono andati loro e non altri, e non noi? Resta un mistero insondabile che si è riproposto quando ho appreso brutalmente, alla radio, la notizia dell'incidente che - è il caso di dirlo - aveva troncato le ali a Maurizio Poggiali. Un senso di assurdità, di rabbioso stupore. Coetaneo di mia figlia, bellissimo ragazzo gioiosamente aperto alla vita...Perché?

Leggo le lettere che mi spediva da luoghi diversi, con stati d'animo diversi, e la mia desolazione è infinita.
Certe parole sono belle in sé ma terribili per chi le legge con gli occhi del "dopo". Maurizio si dice orgoglioso, sente quella bellezza che consiste nell'offrire qualcosa agli altri. Parole importanti che in forma meno occasionale ritornano nelle sue poesie ricche di umanità e di slancio.

E' un caso che qui la prima poesia della raccolta (data: 25-11-82) abbia già un tocco di cupo presagio che mi fa pensare all'"elastico" di cui parlava quel mistico spagnolo? Il "viale" ci guida tutti a uno stesso luogo.


IL VIALE
(25-11-82)

Camminiamo,
camminiamo lungo un viale
che per alcuni è alberato
e pieno di colori,
e per altri è deserto
e spento.
Non si rallegrino, però,
i primi;
né si rattristino
gli altri:
uguale per tutti
è il luogo
dove esso conduce.

Ci sono molte poesie "belle", d'impianto prosodico tradizionale che testimoniano della sensibilità, del gusto e della cultura di questo giovane straordinario. Penso a "Delusione":

come
bellezza svanita nel nulla
fragile luce
di candela spezzata
spazzata
dal vento di una foglia che
cade

nella notte

profonda.

Bisogna leggerla così sulla carta, con i suoi "bianchi" e i suoi ritmi spezzati, le sue micromisure e purtroppo anche con il cupo presagio che le parole contengono.
E poi ci sono testi d'altro tono e tenore, rotti, sperimentali, anche questi interessanti almeno per dimostrare il largo ventaglio delle possibilità espressive di questo giovane autore che certo ci avrebbe riservato delle sorprese.

 Lo voglio considerare "un poeta", allo stesso modo con cui le sue autorità aeronautiche lo hanno promosso a "Maggiore".
E, con i suoi cari, lo piangerò a lungo.
(Maria Luisa Spaziani)


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IL VIALE
(25-11-82)

Camminiamo,
camminiamo lungo un viale
che per alcuni è alberato
e pieno di colori,
e per altri è deserto
e spento.
Non si rallegrino, però,
i primi;
né si rattristino
gli altri:
uguale per tutti
è il luogo
dove esso conduce.

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SCENDE VIOLENTA LA PIOGGIA
(8-2-83)

Scende violenta la pioggia;
i campi inseminati si gonfiano,
gli alberi si muovono scomposti,
agitati dal vento furente.
Un uccellino trova riparo
sotto una finestra,
e osserva impotente ed impaurito.
E là dove l'acqua cade sull'acqua,
alcuni uomini combattono solitari
contro onde ribelli,
una guerra dimenticata.
Poi il sole, timido,
torna a splendere,
e i campi godono dissetati,
gli alberi si riposano,
l'uccellino torna dai suoi piccoli,
gli uomini vittoriosi e stremati
si rallegrano.
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L'AMORE
(25-2-83)

...Fragile luce di candela
Tenue chiarore nell'oscurità...

...nella mia vita
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DELUSIONE
(25-2-83)
come
bellezza svanita nel nulla
fragile luce
di candela spezzata
spazzata
dal vento di una foglia che
cade
nella notte
profonda

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SULLA GRECIA
(4-3-83)

Splendida terra
di antiche gesta
d'eterna gloria
saggia.
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GRAND PRIX
(14-3-83/22-3-83)


piatte
come sogliole
scivolano
urlanti
sull
’asfalto surriscaldato
tinteggiando dei propri colori
a pazza velocità
lanciate
nella corsa
vanitose

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SMACK
(18-3-83/25-1-84)

AMORE more (o bionde o rosse) ore (quanto corte) re
mi fa (i) sol (tanto) la (mentare) si (?!) dolce

AMARE mare (immensità) are (non so...) re
mi fa (i) sol (tanto) la (mentare) si(?!) donna

AMORE more (sei più saporita) ore (quanto ignare) re
mi fa (i) sol (tanto) (par) la (re) si (?!) dove

AMARE mare (di più) are (se vuoi...) re
mi fa(i) sol (tanto) (par) la (re) si (?!) dormi

?
so (l) la
?
posso
?
(...)

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FINE
(18-3-1983/22-3-1983)

quando
nel cielo grigio
denso di nubi
il sole scomparirà inghiottito


quando
le rondini
opprimeranno
con il loro volo basso,
ragnatele umane d'ombrelli


quando
il vento maligno
s'alzerà,
beffardo


la casa
della mia esistenza
traballante su marci pilastri
crollerà
nel silenzio
rotto soltanto da una limpida lacrima

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(prima versione)
FINE
(23-3-83)


quando
rondini fluorescenti
l'una
nell'altra
nel vento
chiuse
racchiudono
radono
ragnatele umane
d'ombrelli



piove forte (le rondini volano basse: "radono") e il vento si è alzato
la pioggia e il vento (della delusione) hanno spazzato via ogni ambizione:
è meglio morire che vivere senza alcuna ragione di farlo
-
il "quando" al primo verso indica una situazione senza limiti di tempo (domani o tra cento anni) ma che ha come necessaria conseguenza nel momento in cui si verifica la "fine"
le rondini sono fluorescenti in quanto terminato il maltempo tornano alte (la fluorescenza termina al cessare della causa eccitatrice)
sono inoltre molto numerose da sembrare "l'una nell'altra"e formano agitandosi nell'aria ventilata (nel vento) una sorta di cupola (chiuse) opprimente la gente sottostante che muovendosi freneticamente sotto gli ombrelli va intessendo ragnatele
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LAMENTO
(24-3-83)


amore
amore
amore
amore amore amore

ti voglio

t'amo


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LA FINESTRA
(24-3-83)


a volte
dalle fessure sottili
di una finestra incantata
incastrata
intravedo la vita

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ASCOLTANDO L' OROLOGIO D'ORO
(24-3-83)



Battete, lancette,
tranquille,
senza curarvi
di ciò che provocate,
ad ogni tic...
ad ogni tac...

Battete, lancette,
tranquille...

Ma il tempo corre!!
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VIALE DESERTO

(20-3-83/24-3-83)



viale deserto
sotto
lampioni spenti

vivide lune
lontane

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FOGLIE D'AUTUNNO

cotte cadono contorte
ai piedi dell'estate




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CONCERTO
(4-4-83)

unta melodia
(chopin)
d'eterna gloria saggia
assaggiano
danzano dita
su tastiera innevata

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ILLUSIONI D'AUTUNNO
(5-4-83)

ai piedi dell'estate
spremute da luce potente
cotte
contorte
cadono

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INTERCOMUNICAZIONE NOTTURNA
(21-4-83)



da scintillati occhi di sogno
(codici stellari?)
punte
pietre
molle cristallo infrangono

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FRAMMENTO-CENTRALITA' DI RIFLESSIONE
(1983)


: oscillazioni
d'ape alla deriva


derivate leggi antigalileiane sull'oscillazione di pendolare
pendolazioni
era diminuendo diminuisce
è aumentata diminuendo:


: rugosità
pista d'atterraggio



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(15-6-83)

"Non penso che il trionfo dei nuovi mezzi tecnici sia senza importanza in un mondo che tende ad un nuovo umanesimo positivo e scientifico, ma ritengo che anche domani le voci più importanti saranno quelle degli artisti che faranno sentire attraverso la loro voce un'eco del fatale isolamento di ognuno di noi. In questo senso, solo gli isolati parlano, solo gli isolati comunicano; gli altri, gli uomini delle comunicazioni di massa, ripetono,
fanno eco, volgarizzano le parole dei poeti, che oggi non sono parole di fede ma potranno forse tornare ad esserlo un giorno"
(Eugenio Montale)



Sì Montale!!
Vero Vero Vero Vero Vero Vero Vero Vero
gli isolati parlano
gli isolati comunicano
gli altri, gli uomini delle comunicazioni di massa, ripetono
ripetono
ripetono


AGIO-OZIO-SOTTOMISSIONE-ADOZIONE

CLIC...
...Spolverix... ...Lavatrix... ...Automobilix... ...
stupido mobile rettangolare
ESASPERAZIONE

cosa ti fanno dire?!
non obbedire!

VROOOOOOM...
cos'è stato?
chi è?
dov'è?
dove sono?
AIUTO AIUTO AIUTO AIUTO AIUTO AIUTO AIUTO AIUTO AIUTO AIUTO
AIUTO ...UTO...UTO...UTO...TO...TO...O...O...O... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ...

scccccccccccccc
PREGO: SILENZIO


Gli altri:
NON
non vivono vivono
vite vite
volute non volute


almeno il poeta:
a volte
rubinetti di vita
vivono

sguazzo

il poeta non è gli altri perché gli altri non appartengono a loro stessi
foglie al vento

SSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSIBILO

trema
tremendo
tremando

voce acuta quella del poeta
ma è suono
non rumore

botte di legno arredata a volontà

grattacielo di cristallo arredato a non volontà

DIFFERENZAZIONE
export import
DARE RICEVERE

quanti occhi
quante orecchie



osservazione e riflessione
creazione
SSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSS
instancabile

adozione
sottomissione


Buonasera mister CLIC...
mi dica: chi è il più bello
bella
ricco
ricca
del reame

ORDINI DALL'ALTO

-sì mister CLIC
-certamente mister CLIC
-come vuole mister CLIC

NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO

uomo / macchina

uomo = uomo

macchina = macchina

DIVERSITA'

-non voglio essere macchina!!!
-devi essere macchina!!!


ORDINI COMPUTER CENTRALE


-ma io sono uomo!
-sì: uomo-macchina!

SSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSS

-cos'è stato??
-niente!

SILENZIO

-eppure...
-silenzio!
-voglio sapere cos'era!!!
-voglio sapere
sapere
sapere

-BASTA!!!


curiosità:
...pericolo frane...
...procedere lentamente...
...non parlare...
...ogni parola potrà essere
...usata contro di voi...

-Cos'era???

SSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSS

sentito?...
...di nuovo!
che succede?
-pericolo frane
osservazione
riflessione
creazione

contro tutti
contro tutto

-vi prego...
...qualcuno mi dica cos'è quel sibilo...
...che succedeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee...
mister CLIC... ...vi prego... ...PREGO
PREGHIERA
PREGARE

-Lavatrix... ...Automobilix... ...Spolverix... ... ... ...
turbine di fogliame vivo
turbine di fogliame morto

-mister VROOOOOOOOOOOM... ...per favore...
-VROOOOOOOOOOOM...
cosa è stato
chi è?
dov'è?
dove sono?

IMPOSSIBILITA'
COMUNICAZIONI INTERROTTE
firmato
COMPUTER CENTRALE

SSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSS

10 metri
100 metri
1000 metri
chilometri
anni-luce...
(intensità-verità)

-stò per impazzire:
ditemi cos'è... ...cos'è... ...cos'è... ... ...

(FEDE)
cos'è
BZZZ BZZZ
COMPUTER CENTRALE
IN CORTO CIRCUITO

cos'è












-un uomo












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MANI TESE
(8-12-83/20-4-84)


sconfinata infinità
bambino inciambellato AEREO galleggiante
SILENZIOSO ROMBO perso sperso CERCA RICERCA
CICLOPE ignaro nell'ignoto disegna
girovago umanoide bianco
INFINITA SCONFINATA OSCURITA'


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L'ABITAZIONE ABITATA

sinfonia esteticizzante per camere balconi saloni ripostigli corridoi ingressi
(1984)




saloni
(21-1-84)


dal mobile che fai lì sedia
perdita d'identità distaccarsi dalle sue compagne


a piano on the right
con lampada curva (affaticata)
affatica l'avorio nascosto

per stanchi
per sé (è stanco)
divano integra schermo colorato di prora integra costruzione
dalle legnose spalle larghe non preoccuparsi
d'occupare
pareti
sì sì quella e questa

here is music
stereo
distratto e agitato forza 45

tre quadri
metri quadrati matematici
e
due d'altra famiglia forse 1832 pensano leopardi e rimirano
fuori il freddo

spalle messe a riposo
parete
tavolino quadrupede si aggira statico
sottogruppo sedie
dama e dama dell'ottocento sperdersi





no light
in the celling 's centre
fanali carducciani cardinano lungo collo ottonato

ancora quattro zampe ancora più robuste
(meno delle spalle)
di cosa? ma è semplice ne ho parlato dopo il 1832
seggono sorreggono
disco

the time
all can turn in
the time
desiderare
yellow with somebody
qualcuno vive qui
cupola
(sembra una x!) di cilindrici tubi incolori

yes sir there is something that is impossible
quanti atomi?

cucine
(22-1-84)

miriade di
agli frattaglie bottiglie bottiglioni cacao carni camomille caramelle
caffè latte caffellatte cappe coppe coltelli cristalli ciotole cipolle
frigoriferi forchette porchette lavatrici lavastoviglie maioliche
marmellate miele mele mestoli mensole pensili presine resine origani
orzo ortaggi orologi olii paste pasticci pasticcini pepe pere pesche
pesce pentole piatti tappi cavatappi canavacci apritutto thè gas sale
salse succhi secchi stracci scope spazzole spazzoloni burro uova
girauova detersivi diversivi bilance fiaschi ghiaccio cucchiai bicchieri
zuccheri
aromi


percepire fire and water
il nulla
desiderarlo


quel cucchiaio d'argento yes sir there is something that is different



bagni
(23-1-84)


sciacquii d'acque e
specchi



corridoi
(24-1-84/10-4-84)


non larghi lunghi letarghi d'inverni ibernati

o estati o inverni o autunni o primavere
l'otto orizzontale da sette caselle fece peccare eva

della festa anche noi siam parte
e
poi
cosmonauti
la linea del cambiamento di data?

voltare le pagine di un libro
finirlo leggere il titolo voltare
il titolo delle pagine finire di
leggere il libro voltare il libro
finirlo leggere le pagine del titolo
volt



balconi
(26-1-84)


esposti
sospesi
sospetti
affacciano


ripostigli
(28-1-84/1-4-84)


1.
nascono in
posti nascosti

2.
nascondono pensieri
da ieri riposti

3.
sondano scovano
desideri disposti

scavano inondano

ingressi
(7-4-84)


entri esci in
mezzo

freddo estivo
caldo invernale
qui l'artificiale lì
il superficiale

sopra

fiori con vasi
porcellini in porcellana
vasi senza fiori
luce in lume o lume in luce
libri liberi

specchio (qui il
superficiale lì
l'artificiale
freddo estivo
caldo invernale)

senza tutto sembra con niente sembra
tutto
(artificiale)

forte porta
(catene paletti dentro lucchetti
porta

che c'è dentro fuori
che c'è fuori
dentro






camere
(13-4-84)


nuit
carni care ardono calde

magari fuori bestemmiare di nuvole
ma non importa

forme si formano infermabili

ci sono qua io ci siamo qua noi
ma non importa

care carezze

senza me? cara

care


jour

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HOMO HOMINIS
(1984)


sopraggiungere di contaminazione
radioattiva robotica rapace
capace
il disco quadrato
l'acciaio legnoso
distorsioni stiramenti fratture
il disco legnose
l'acciaio quadrato
paratonica esposizione dà esplosione tonica

parea che la notte seguita dalle tenebre e dalle stelle fuggisse dal sole che uscia nel suo immenso splendore dalle nubi d'oriente quasi dominatore dell'universo e l'universo sorridea le nuvole dipinte a mille colori salivano su la volta del cielo che tutto sereno mostrava quasi di schiudersi per diffondere sovra i mortali le cure della divinità io salutava a ogni passo le famiglie dei fiori e dell'erbe che a poco a poco alzavano il capo chinato dalla brina gli alberi sussurrando soavemente faceano tremolare contro la luce le gocce trasparenti della rugiada mentre i venti dell'aurora rasciugavano il soverchio umore delle piante

io compiango lo sciagurato che può destarsi muto freddo e guardare tanti benefici senza sentirsi gli occhi bagnati dalla riconoscenza
l'uomo rimanendo


(cit. Ugo Foscolo "Ultime lettere di J. Ortis)


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CASINO'
(4-3-84/7-10-85)


se in un giorno accade
oggi cade il compleanno dello zio di tuo nonno
se
in un giorno tutee API gironzolano gongolandosi dondolanti
e allora una
compie forse quanti anni
paraboliche oscillazioni
che sembra che sembro
derivare per cui le ali sono vere vele
derivate leggi antigalileiane sull'oscillazione di
pendolare
e sempre quella quindi anche aleph-zero anni
pendolazioni
che sembra che sembro
un aereo che atterra e che non atterra mai
allora rigira tutto e riguarda
ma se ancora
un'ape
era diminuendo diminuisce è aumentata diminuendo
il futurismo l'ama tanto
a quest'ora avrà già spento tutte le api
pardòn
le candeline
a quest'ora











io ora
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SPECCHIO
(1-4-84)


ti specchierai
forse da vecchio
e chiederai
lì nello

specchio
specchio delle mie trame
chi è più contrario
del reale

che sinistra è destra
che non è sinistra

scoprirsi mancini

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(1-4-84)



disco cromo
dà luce nomade
cavalli divini sulla riva
afferrano
dorsi teste
levano lunghe al mare

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SCHIFO!
(18-5-84)


di midollo
di cadavere di sangue di gola
arrossata di cacca cagnina di
suo dente tritato di ossa tubercolare
spremute di vacca di poltiglia pancreatica
di topo fognoso di inedia di bile
uterina di sugo ascellare di porro
rigonfio di sapore di vomito nero
di intestino fecondo di sputo colerico
di saliva di vagina infetta

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DA GUERRA
('85)


nell o sm ace rio
d ello s
mat erìo
prini gniffetti e cecerini
di
sos
sati
sacco-di-patata
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PER APPRODO
('85)

Il giovane marinaio seduto schienaboccaporto
al suo piccolo omnicomprensivo sommergibile
riposa mezz'acqua la giornata salata

(brulicante plic plicchìo acquaiolo nell'intorno
all'ormai inerziato da faretto in caletta
di sola baseisola oceanica)

Faccia di vento amori amici andati
toccarsi di lattalluminio a brocchette e pentolini
fumano
buon brodo caldo di gallina.



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di MARE



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I TUOI
('85)


gl'occhi nell'azzurro
lo stazzar'acquamar'universo
dell'oceano

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PORTO

(27-11-85)

Quanto mi
piace il porto
che ti tiene caldo
con i vapori di nafta.

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STO PER DIRTI
(85'/'86)


E' te

per l'azzurro rigato d'aereo evanescentemi

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PENSIERINO
(27-3-86)


Oggi nevica e mi diverte tanto
Per un bambino
è sempre uno spettacolo d'incanto

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DOPO UN FILM




Ai Ragazzi delle strade
cazzotti alcool occhineri
maneggiano armi, morte

poi (perché lo scoprono
un tramonto) si ustionano del
fuoco che colpisce una scuola di bambini
e le piaghe

e a tutti quelli (stasera
risse coltelli!) che il sole fa solo sudare
ancora



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sole sale e lo granula

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ALLE STELLE


Stelle, silenziose
e belle. In più di
mille apparite sopra
di me, scintillanti nella notte calda.
E i miei occhi vi
parlano. E nel mio animo,
è pace.

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NELLA NOTTE

Occhi di sogno
parlano
scintillanti
a stelle silenziose.
Forte pace
è
nell'animo.


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ESTASI ESTIVA

è gialla
è sabbia traversa
mano a clessidra
è secca liscia il
mare di risacca
è pura di sole
sale e lo granula
è oro caldo sottomesso compreso
arreso proteico impossibile
malleabile inseparabile fuso
effuso

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DELLA BAMBINA GRASSA

(24-12-87)



della bambina grassa
e gira e gira
ti sta così bene il vestito rosso
e balla e balla
lui con lei, questo e quell'altra
e canta e canta
io con me

i giri i balli i canti
degli altri
ti sei divertita?

un sorriso a mammaepapà e
poi di corsa in camera sua

in un cuscino di pianti


un sorriso a mammaepapà e
poi di corsa in camera sua
in un cuscino di pianti


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UNA DONNA
(dicembre '87)

stenta, nell'aderenza
neropellata dei pantaloni
i chili di anni

(negli occhi un fiore
che affoga nella rima con amore)


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AFRICA
(24-12-91)

la rassegnazione delle mosche
non cacciate
che camminano sulle facce nere

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RACCONTI BREVI

LA FAVOLA DEL GATTO CHE NON MANGIO' IL FUTURO



Una volta un cefalo visse sei giorni d'estate nella sabbia, si seccò un fianco al sole e sopravvisse. Una volta un bambino cadde dalla cupola di San Pietro e si salvò. Una volta un uomo tentò di recuperare cento lire con calamita e filo ma quando le tirò su il peso della moneta aggiunto al suo provocò il crollo della grata e morì.


Il sabato sera Ferdinando vide lo spot sui nuovi gelati dolci che sanno di mare mentre baciava della buonanotte il papà e la mamma e andò a dormire. La notte sognò che erano tanti anni che il mare con i pesci dentro esisteva e che i pesci piccoli piccoli da qualche parte dovevano esserci e le cicogne sottomarine.
Al mattino la mamma svegliò Ferdinando posando un bacio sui suoi piedini che riposavano sul cuscino perché Ferdinando programmava la sveglia e la soneria elettrica di mezzanottezerouno gli ricordava di cambiare posizione nel letto per non privilegiare una parte del corpo rispetto all'altra concedendogli il piacere esclusivo di gustare il gonfio e soffice cuscino bianco con una grande F azzurra nel mezzo. Da sotto le lenzuola Ferdinando chiese se fosse domenica e la mamma gli rispose di sì.
L'estate precedente, proprio quando avrebbe potuto decidere le sorti dell'incontro con gli scapoli che si giocava ormai da ore sulla spiaggia e che sarebbe terminato al primo gol, l'emozionato ammogliato tirò il calcio che manco il pallone ma fece la fortuna del cefalo dimenticato sei giorni prima da un pescatore sulla sabbia - e davvero seccato dal sole e dalla situazione - , che si ritrovò in acqua.

Appena usciti in strada, la mamma comprò il solito palloncino azzurro che legò al dito di Ferdinando. La domenica mattina era per le passeggiate e quella volta sarebbero saliti sulla cupola di San Pietro.
Quando furono su, anziché ammirare Roma distesa sotto di lui, Ferdinando era attratto dal carretto dei nuovi gelati dolci che sanno di mare dal quale, laggiù nella piazza, si levavano gli inviti ad assaggiare l'ultima novità nel gusto dell'omino con l'altoparlante.
Erano le 11:44 quando la mamma di Ferdinando, in contemplazione su qualche monumento ai caduti, non si accorse del lampo di curiosità vorace che portò suo figlio sul parapetto, in piedi, abbracciato al suo palloncino. Ed erano ancora le 11:44 quando, a piedi uniti, Ferdinando si piegò sulle ginocchia e fece il salto nel vuoto e quando vennero le urla della gente.

Ferdinando mangiava un gelato dolce che sa di mare quando il Papa all'altoparlante annunciava, in ventidue lingue, che il bambino caduto dalla cupola di San Pietro era salvo ed ora mangiava un gelato dolce che sa di mare. La notizia ebbe un'eco clamorosa. Tutti i telegiornali ne parlarono ampiamente per giorni e la televisione non trasmise che telegiornali. I quotidiani raddoppiarono formato e numero di pagine per raccontare la storia di un bambino caduto dalla cupola di San Pietro perché sognava di raggiungere il carretto dei nuovi gelati dolci che sanno di mare. Tanto si scrisse e parlò della vicenda che le penne e i bicchieri d'acqua minerale per schiarirsi la voce ogni tanto divennero una rarità.
Tutti comprarono il nuovo gelato che sa di mare, tutti lo assaggiarono, ma solo a Ferdinando e al Papa piacque. La straordinaria vendita produsse in poco tempo l'esaurimento delle scorte del nuovo gelato che sa di mare e si pensò di triplicarne la produzione. Ma solo in due ne comprarono: Ferdinando e il Papa.

Il venticinque Dicembre un uomo con un vecchio, falso berretto da marinaio bianco azzurro e con una giacca di velluto logoro color bordò, era in ginocchio su una grata di ferro e stava legando una calamita ad un filo. Un passante notò la sua abilità nel far nodi e riconobbe in lui il vecchio che tempo prima aveva riportato a riva ben legato un grosso pesce, cioè una grossa lisca e che nel frattempo, calato giù il filo, guardava attraverso la grata sperando di agganciare le cento lire. Dopo poco la moneta abboccò e il vecchio cominciò a recuperare il filo pensando ai giorni lontani trascorsi nella pesca d'altura, quando la grata non sopportò il peso aggiuntivo della moneta e precipitò.

Lo schianto attirò un gatto che annusò cautamente nei pressi della buca e si sedette sulla coda a guardar giù. Il nero della profondità richiamò alla sua mente la notte in cui camminando affamato su una spiaggia, si era imbattuto in un pesce che aveva l'occhio chiuso ma la branchia si muoveva e allora aveva pensato che non era giusto addentarlo mentre dormiva ma che doveva farlo perché era davvero affamato e poi forse così il trapasso improvviso non avrebbe consentito al pesce di rendersi conto di quello che stava accadendogli e avrebbe continuato per sempre a sapere di dormire.

Pensando e annusando, i suoi occhi furono distolti da voci d'amore e andarono ad incrociare quelli di un ragazzo seduto sul bordo di un vecchio gozzo mezzo insabbiato che aveva appena finito di dire che il mondo quella notte erano loro due alla ragazza che aveva davanti e che ora abbracciava in silenzio, e scappò via.

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UN SOGNO
(4-4-83)


Era un Mercoledì. Stavo giusto camminando, sul marciapiede destro, lungo la discesa che porta alla fermata dell'autobus, per recarmi come tutti i Mercoledì, a lezioni di tiro a segno, quando fui colpito da un manifesto sul quale a caratteri cubitali era scritta la parola "mafia".
Interessato, continuai la lettura del manifesto, che era un manifesto pubblicitario di una nota casa editrice.
Vi era scritto di un giornalista che, clandestinamente, era riuscito a penetrare in una famiglia mafiosa e a rimanervi per quasi un anno, registrando e filmando telefonate e riunioni, e documentando i rapporti che questa cosca aveva con le altre. In questo modo il giornalista era venuto a conoscenza di moltissimi particolari riguardanti la mafia e ora, per una casa editrice, si apprestava a curare una enciclopedia a fascicoli intitolata, appunto, "MAFIA".
Mentre leggevo, udii improvvisamente un forte stridore di gomme sull'asfalto, mi girai di scatto, e vidi un uomo, il quale affacciato dal finestrino di una "cinquecento", cominciò a sparare contro di me con un mitra.
Con un balzo in avanti trovai riparo dietro un'automobile parcheggiata proprio davanti a me.
L'uomo mi aveva ferito alla coscia sinistra e la ferita doveva essere abbastanza profonda a giudicare dalla quantità di sangue che ne usciva e che aveva colorato di rosso tutto il pantalone sinistro.
Cominciai a montare la pistola che porto con me per le esercitazioni e dopo averla caricata sparai un colpo sulla "cinquecento" che ormai era giunta quasi in fondo alla discesa. Il colpo andò a schiantarsi sul cofano posteriore dell'auto: questa frenò di colpo, e con rapidità ingranò la retromarcia dirigendosi verso la mia postazione.
Nel frattempo, ai piedi della discesa, era giunta un'automobile della polizia municipale che di solito controlla il traffico della zona.
Vista la situazione i due agenti, al riparo dei due sportelli anteriori dell'auto, cominciarono a sparare di fronte alla "cinquecento": gli occupanti di questa, dapprima risposero al fuoco coi loro mitra, sventagliando raffiche in avanti e distruggendo il loro parabrezza anteriore, poi si nascosero all'interno dell'auto.
Io, intanto, riposta la pistola che sparava un colpo alla volta si dimostrava insufficiente alla situazione, decisi di intervenire.
Decisi di prendere un vaso da fiori che il fioraio espone tutti i giorni, in bella mostra, di lato l'entrata del suo negozio proprio dietro di me.
Preso il vaso di coccio, mi diressi strisciando sulla strada, dietro l'auto dei criminali e, con tutta la mia forza, lo scaraventai sul parabrezza posteriore di questa, infrangendolo.
Rapidamente presi possesso del mitra che avevo precedentemente notato e che trovava sul ripiano dietro i sedili posteriori dell'automobile. Presi alla sprovvista, i criminali, che ormai pensavano agli agenti e non più a me, non riuscirono ad intervenire.
In un primo tempo mi accovacciai dietro la macchina, sotto il parabrezza, poi scattai in piedi e feci fuoco sui tre occupanti che erano rannicchiati sotto i sedili, colpendo quello che era seduto dietro.
Uno dei criminali, a questo punto, rispose al fuoco sparando verso il parabrezza posteriore, ma io ormai ero di nuovo accovacciato sotto di esso.
Gli agenti, intanto, che erano in attesa che qualcuno dei criminali facesse capolino, per colpirlo, e che quindi coprivano la mia azione, vedendolo, spararono contro di lui. Non so se riuscirono a colpirlo.
Terminati gli spari uscii allo scoperto, e andai, correndo chinato in avanti, a ripararmi dietro la macchina parcheggiata.
Presi altri tre vasi, più piccoli del precedente, e li lanciai sulla "cinquecento": uno di essi sfondò il tettino di stoffa dell'auto. Pensai che a questo punto i criminali, presi tra due fuochi e non avendo alcuna possibilità di scampo si sarebbero arresi. Il mio pensiero era sbagliato. Cominciai allora ad urlare: "arrendetevi maledetti è tutto inutile".
Ma nonostante ciò nessuno dei criminali usciva allo scoperto. Nel frattempo, i due agenti lanciarono dei candelotti fumogeni intorno alla "cinquecento" che aveva ormai i due parabrezza, un finestrino laterale e la "capote" sfondati oltre che innumerevoli fori tutt'intorno.
I criminali non si arrendevano, e così coperto dal fumo che aveva avviluppato tutta la vettura, uscii allo scoperto, imbracciando il mitra, e mi portai sul lato sinistro della vettura, cominciando a sparare dall'alto in basso nel suo interno.
Il fumo a poco a poco andava diradandosi e così vidi, riparato dietro una macchina parcheggiata sull'altro lato della strada, due dei criminali con il volto intriso di sangue.
Non vedevo il terzo, quello seduto al posto di guida, ma pensai che colpito sarebbe, magari, scivolato sotto il sedile.
Così mi avvicinai cautamente alla vettura e, giunto vicino ad essa, cercando con gli occhi il terzo, lo vidi rannicchiato ai piedi del sedile, sotto il volante. Aprii lo sportello, ma l'uomo, ancora vivo, con una pistola che aveva nella mano sanguinante cercò di colpirmi.
Riparatomi sotto lo sportello dell'auto, camminai basso verso la parte anteriore della vettura e dal parabrezza infranto sventagliai una raffica di proiettili sull'uomo, preso alle spalle. Colpito abbracciò il sedile riversando la testa all'indietro.
Così, chiamai gli agenti e insieme tirammo fuori i corpi dei tre sventurati: uno di essi, ancora vivo, fu portato da un
’autoambulanza giunta nel frattempo, in ospedale.
Adagiammo gli altri due corpi sulla strada e la gran folla accorsa, si lasciò andare ad un rumoroso e lungo applauso che superava per intensità il fischio delle sirene.
Commosso, sfinito e sanguinante svenni tra gli applausi.

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AUTOPSIA DI UNA GOCCIA
(febbraio-marzo 1984)



A volte tutto, a volte niente.
A volte tutto, spesso niente.

Condizione della moltitudine e di Olivier ignoto (forse anche a sé stesso) individuo di fine ventesimo secolo immerso nell'indifferenza, la vastità e la vanità della grande metropoli (parigi, roma, tokio, new york; che importa).
Milioni di persone (sole) accanto a quella (sola) di Olivier, vivono quotidianamente la morte che quasi impercettibilmente avverte la vita. Il tutto emargina le sue parti (la goccia, quella goccia nel mare è irrimediabilmente persa).



Una, due, tre camere, qualche bagno, forse delle cucine, l'ambiente che sopravvive ad Olivier ed in cui Olivier sopravvive.
Il suo possedere deriva dai sacrifici (economici?) precedenti alla sua scoperta della morte vissuta (che senso ha risparmiare nel/per non vivere).
I suoi (esistono aggettivi spossessivi?) genitori sono di qualche paesino scomparso, forse sono anch'essi scomparsi (forse con il loro paesino); la loro situazione e/o condizione -anche se viventi in qualche altra città o addirittura nello stesso appartamento di Olivier-non potrà mai essere compresa né gli permetterà mai di comprendere quella/e di Olivier).
Sì, Olivier viveva diversamente prima (o dopo), diversamente.

SCRIVE
il telefono nel suo squillare
lo squillare nel suo telefono

Sì, Olivier viveva diversamente prima (o dopo), diversamente. Forse meglio, forse peggio; sicuramente non peggio, sicuramente non meglio (chi, chi è -maledizione- in grado di dirlo? Chi può ritenere una vita dedita al sacrificio migliore di una vita spensierata, semplice unisona con il sole, l'aria, il vento, l'acqua e tutto ciò che dovrebbe fare naturalmente da contorno a quella che è la naturale condizione dell'uomo? Quale condizione chiede chi considera troppo il tempo e si avvicina frettolosamente ad esso ignaro di avvicinare la morte, cioè quella morte che quasi percettibilmente avverte la morte. Quella animale.)

corre
olivier corre insieme alla sua compagna e la sua compagna corre con lui un giorno al tramonto perché poi il sole così insistentemente rosso il sole verde lucido illumina timidamente quel prato rosso olivier riversa il suo bisogno d'amore e il suo amore nella sua compagna caterina o susanne che li riversa in lui non erano infelici o meglio sono felici quando la mattina alle ventidue olivier suonava sotto l'abitazione di susanne e caterina facendosi aspettare quel tanto che è indispensabile a chi aspetta scende lui la vedeva scendere le scalette del portone indossava camicetta golden gonna turchina sandali estivi indossava occhi turchini capelli golden quasi tutte le mattine inciampava su una delle scalette del portone e poi timidamente alzava lo sguardo in direzione di olivier quasi per chiedergli scusa e olivier le sorrideva beatamente dall'alto della sua jeep e insieme andavano incontro alla primavera ai fiori alla luna al mare


ALTA TENSIONE


Olivier giace ora disteso sul pavimento nudo.
Olivier (eppure è sempre quello stesso Olivier, enormi contraddizioni che si presentano) ora non ha più la sua jeep. Susanne non ha più Olivier. Susanne non ha più la sua Jeep.
Olivier è ora nudo sul pavimento (perché la distensione provoca quest'ansia?). Dalla sua fronte alcune gocce di sudore ne preannunciano altre (come può l'apparenza svelare ciò che in quella stupida dimensione chiamata tempo è il dopo?).
Il sudore. Il sudore di Olivier. Sgorga.
(L'importante per quella odiosa sostanza è venire fuori, allo scoperto - o coperto -, distinguersi in quel momento, che importa quali sono le cause della sua uscita, della sua venuta al mondo...Il sudore suda Olivier?!




olivier e susanne si amano l'amore di olivier non è un amore mediato dall'amore verso olivier così susanne non ama caterina



Olivier nel chiuso della sua stanza chiusa attorno a lui, scrive.
Sì, scrive.
MA
Il suo sogno non è quello di diventare uno scrittore ma piuttosto di far capire che in quei dannatissimi fogli, in quelle penne usate per sporcarli, in quella macchina da scrivere paranormale (non è questo il termine usato per definire poteri medianici? e la macchina da scrivere non è un medium?), c'è lui, c'è Olivier, c'è quella goccia d'acqua dolce da 19 anni dispersa nel e dal mare. Solo questo.
Le caratteristiche della goccia, la sua composizione chimicofisicopsichica è quella delle parole sbrodolate sui fogli.
(Merda, merdaccia lurida, sì Olivier è lì, colui che ha perso la sua Jeep, che non ha più la sua caterina, è disperatamente lì, appiccicato in forma di lettere su quella stronza di carta bianca -ma in fondo perché prendersela con i più deboli, la carta susanne un giorno disse ad olivier

ti amo
Olivier e susanne un giorno si toccano e toccano le nuvole







Vederlo lì a scrivere curvo (non è un brutto ragazzo, a scuola era uno dei più carini votati dalle ragazze), al buio, solo; sentire i colpi non ritmati (non è molto abile con la sua macchina... in fondo è qualcosa di così effimero e umile) dei martelletti stampanti,
è qualcosa di terribilmente suicida.
Olivier sembra rincorrere il proprio abbrutimento alla ricerca di un qualcosa che non può venire ma non può non venire.
SCRIVE
cosa è una
metropoli solare un
gatto giallo un
canarino blu?
susanne un giorno rispose ad olivier che caterina era la compagna di olivier sì era la sua donna

tic tac
Olivier scrive.
Cosa scrive in quell'infernale solitudine

SCRIVE
pena del
decimo dantesco

non è possibile sapere per il semplice fatto che a nessuno interessa. L'unica cosa accertata è che Olivier scrive senza punteggiatura (forse perché la punteggiatura è troppo legata al tempo e allo spazio e il tempo e lo spazio sono troppo...).

Miliardi di tic e di tac accompagnano Olivier nel buio.
(A chi può interessare?)




quando susanne cerca con i suoi occhi di capire gli occhi di olivier casca il mondo
Olivier ha smesso di scrivere.
Braccia incrociate sulla larga scrivania guarda fuori. Ogni cosa attira l'attenzione di Olivier.
Olivier vede il garzone della salumeria (quella insignificante salumeria) prendere ordini dal salumiere

chi insegna
chi impara

Osserva una foglia della pianta di gigli che ha sul balcone della sua stanza. Sta per spezzarsi. Resisterà per molto o per poco.

SCRIVE
e se già troppo
o troppo poco?

Il garzone è tornato, è soddisfatto della sua missione; ride con il salumiere. (Che avranno da essere contenti, di cosa si rallegrano? della cliente truffata, dello sconto fatto a quella donna madre di sei figli con quegli occhiali così larghi e straordinariamente brutti/a?
Forse Olivier ha in mente un romanzo (?!) vuole

deve

scrivere dei versi?
Il cielo è divenuto scuro, una giornata in meno.



susanne in primavera è la cosa più dolce della terra


Olivier straccia un foglio, poi lo riprende lo stira e cerca di ricomprenderlo.
Squilla il telefono (c'è vita! c'è vita!) olivier risponde, sembra soddisfatto dello squillare del telefono (ridursi a compiacere uno squillo telefonico!). Qualcuno cerca qualcuno. Non è Olivier. Hanno sbagliato numero, sbagliato numero.

La radio di Olivier stuzzica con la sua lunga antenna l'aria circostante cogliendone umori e rumori e riproducendoli. (E' lì tutta intenta in quell'operazione, sembra un cane da caccia con le orecchie drizzate)

SCRIVE
kill
kill
kiss kiss
kill kiss kill kiss
kiss kiss
kiss





caterina riusciva a non far diventare il cielo scuro

Olivier guarda tra le fessure della serranda incastrata della sua camera.
Si dice che in quegli attimi Olivier abbia intravisto (c'è) qualcosa di strano e di estraneo.



Olivier sta pensando qualcosa. Il mondo a cui appartiene, di cui costituisce il limite di x che tende a 0, è un mondo in cui la meraviglia è computerizzata, i sentimenti stritolati. (desidera tanto essere su una strada senza asfalto forse nel gran canyon o in groenlandia seduto appoggiato indietro sul palmo delle sue mani a guardare distese aperte a guardare niente).



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PIEDIPIATTI

(22-9-88 /San Maurizio)



La sveglia suonò e Giorgio si ritrovò ad essere guardato dalla sua faccia di sonno nello specchio tondo del bagno.
Aprì l'acqua; impugnò il sapone nella destra del lavandino, ci sfregò contro le palme delle mani. Di nuovo una lo depose e tornò incontro all'altra e si abbracciarono e presero a far capriole scivolose insieme sotto lo scroscio liquido degli aghi di calore, piacevoli in quei giorni così freddi.
Quando di mattina presto d'estate, in pigiama usciva appena fuori la porta della villetta delle vacanze a stiracchiarsi nell'aria fresca di giardino, Giorgio si sentiva appassionare alla vita. Non appena oltre il confine sfumato tra sonno e sveglia, si sorprendeva con gli occhi fissi su qualche zona o particolare del suo giardino: sul viso il piacere della meraviglia per una pianta che sembrava saltata fuori da chissà dove o per le troppo larghe foglie dello zucchino. Solitamente quando rientrava in casa, nella cucina, mangiava qualcosa: di diverso ogni giorno. Quel giorno decise che avrebbe preso dell'uva. Scelse dal cestino un grappolone, lo sciacquò e si sedette in mezzo alla cucina a gustarne la consistente sfericità dei grossi acidi neri che la lingua abilmente collocava contro il palato prima dello scoppio.
Nel giardino, intanto, tra un quack un altro e un altro ancora, era entrata una papera. Giorgio sentì i versi di lontano e credette potessero giungere dall'interno del recintato; si sollevò ed andò ad affacciarsi sporgendo mezzobusto alla finestra bassa. Una bella papera, con l'aria stupita e stupida delle papere, guardava verso la villa.
Giorgio gli lanciò un chicco d'uva: per poco non la colpì ed essa papereggiando aprì poco le ali, le sventagliò quasi volesse significare che era una papera domestica, che non se ne intendeva molto di volo e che se anche l'avessero presa a sassate non se ne sarebbe potuta andare così, su due ali che quasi non aveva. Si avvicinò al chicco d'uva, lo beccò, lo ingoiò; rimase nei pressi a squadrare il terreno d'erba cercandone degli altri.
Giorgio prese a far piovere chicchi sulla papera per un desiderio misto di colpirla e di sfamarla. La papera, attenta a schivare le tese traiettorie, ne beccò diversi.

Giorgio, rientrato per il trillo, concluse la telefonata: "Per me va bene, ci vediamo fra una mezz'ora qui da me... a più tardi, ciao."
Quando vennero, in tre, con cappelli a tese larghe due, con ampia visiera il terzo, suonarono e attesero dietro il cancello, parlottando fra loro, che Giorgio gli aprisse dal citofono. Il clack del cancello aperto distolse la papera dal sentiero di formiche dal quale era tutta presa al margine del prato, sotto il muro laterale del cancello. S'avanzò di qualche passo di pinna verso il prato, allontanandosi dal muro, e il suo occhio puntato riconobbe degli esseri viventi. I tre erano appena entrati e uno di loro accostava il cancello. La papera corse traballante nell'erba a nascondere la testa dietro il primo albero.
Gli uomini procedevano sulla stradina della villa. Ben presto quello con il cappello a visiera scorse il corpo tondo e piumato spuntare immobile, quasi per intero, da uno dei giovani tronchi del giardino. Lo indicò agli altri. Deviarono nel prato e camminarono passi felpati in direzione della papera, scambiandosi gesti di silenzio e di invito a far piano. La papera restò convinta di essere nascosta ai loro sguardi fin quando il suo monocolo non inquadrò d'un tratto uno dei tre che ora si ritrovava misteriosamente e pericolosamente accanto.
L'uomo dal cappello a visiera stette per un po' a guardare la papera spaventata, poi gli sputò contro il chewing-gum. La papera cercò sul terreno quasi che il suo cuore in subbuglio gli avesse suggerito di dar soddisfazione all'autore di quel gesto. Trovò la pallottolina di gomma e la confrontò con tutte quelle che gli avevano tirato e sputato addosso nella sua precedente permanenza presso il laghetto della villa della città vicina. E ricordò che tutte le papere rifiutavano quel cibo e che lei stessa non aveva mai mangiato quella roba che gli si offriva ora umida ad un palmo dal becco e che una volta vide una papera che ne mangiò e poi la rivide a zampe in aria con gli occhi chiusi e poi non la rivide più. La beccò e stirando il collo in avanti in alto, la inghiottì. Spalancò gli occhi e fece quack. I tre ad una sola voce dissero: "Quant'è stupida".
Tornarono e proseguirono sulla stradina. La papera raggiunse prima di loro la casa attraverso un percorso d'erba che subito trovava e correva leggera, come sull'acqua.
Quando furono sotto i gradini del pianerottolo, uno dei due con i cappelli a tese larghe chiamò Giorgio.
"Solo un attimo, ragazzi" fu la risposta che venne da dentro la casa.
Poco dopo la porta si aprì. Uscì Giorgio che ancora si sistemava il colletto della camicia troppo bianca. "Pronti" disse. Si rese subito conto della novità della presenza inaspettata dell'uomo con la visiera, mai visto prima di allora, accanto agli altri due, informatori che il suo mestiere di poliziotto gli aveva presentato. Una espressione di pensieroso sospetto si disegnò sul suo volto, quando ancora richiudeva la porta di casa dietro di sé. Udì un quack ed insieme avvertì qualcosa di gommoso fra lo stipite e la porta, che ne impedì la chiusura.
"Attenta, ma che fai..." fece Giorgio, accennando un sorriso, rivolto alla papera che aveva indietreggiato ed era adesso in disparte alla sua sinistra.
"Lui è nostro amico, Giorgio" glielo presentò uno.
"Va bene ragazzi" approvò Giorgio. Senza pensarci accostò la porta che rimase schiusa. "Che ne dite della papera, ragazzi?" proseguì dal pianerottolo. "E' una bella papera", rispose uno. Di seguito, l'altro: "Tu, piuttosto, che ne dici di Monica?"
"Cosa volete che vi dica", disse Giorgio scherzoso "anche lei è un bell'animale...spero di combinare qualcosa..." Mentre parlava udì pianissimo un "Giorgio" provenire dall'uomo con la visiera: ne avvertì il tono serio ma stava parlando e continuò con Monica che gli piaceva davvero e la sorella di lei che si mostrava contraria. "Giorgio" udì ancora e questa volta disse "Sì" volgendo gli occhi all'uomo che si alzava leggermente la visiera.
"Lasciala perdere, Giorgio...non potrai mai volerle bene..." continuò quello calmo e violento. La mano scendeva dalla visiera all'altezza della vita e Giorgio la vide scomparire rapida dietro la schiena. "...Senza il cuore che ora ti spacco".
Giorgio non capì più niente e capì tutto. Vide il braccio con la pistola nera alzarsi lento e sicuro contro di lui. Poi lo sparo, un quaaack disperato, una papera che s'invola scoppia ricade.
Si ritrovò in terra, sdraiato sui gomiti, dietro la porta di casa che aveva trovato aperta senza saperlo nell'unico istante in cui poté sognare e approfittare che lo fosse.

Terminò di radersi e si asciugò. Andò ad indossare l'uniforme. Uscì dalla camera da letto, risalì il corridoio ed entrò in cucina. Quel giorno decise avrebbe mangiato un panino. Tagliò e riempì il pane con del prosciutto. Lo mangiò in piedi in mezzo alla cucina, guardando attraverso la finestra velata dal gelo. Entrò Monica in vestaglia, lo baciò del buongiorno e lo rimproverò perché cadevano sul pavimento briciole di quel pane.
Disse quack e la baciò di nuovo.